L'ipersfera
- MammaFantasia
- 23 apr
- Tempo di lettura: 2 min

In un angolo scintillante dell’universo, su una stella piccola ma molto curiosa chiamata Zebula, viveva un tamarino dai baffi lunghi e spettinati di nome Tikko.
Tikko era diverso dagli altri tamarini stellari. Mentre i suoi amici si divertivano a saltare tra le bolle gravitazionali e a rincorrere meteore caramellate, lui passava le giornate a costruire strumenti strani: telescopi fatti di gusci di cometa, bussole galattiche e persino un diario che brillava ogni volta che scriveva una nuova domanda.
La sua preferita era:
“Cosa succede se viaggio sempre dritto nello spazio? Dove finirò?”
Un pomeriggio, mentre stava osservando la danza delle lune di Cristalia con il suo visore arcobaleno, sentì un suono delicato, simile a un’arpa.
Apparve davanti a lui un narvalo gigante che fluttuava tra le stelle, il suo corno a spirale emetteva onde luminose come le code delle comete.
«Chi sei?» chiese Tikko, spalancando gli occhi.
«Mi chiamo Serafino, narvalo spaziale ed esploratore delle curve dell’universo!» disse l’essere, facendo una capriola elegante nel vuoto.
Serafino nuotava nel cielo come fosse acqua, e attorno a lui brillavano piccole stelle curiose.
«Hai mai sentito parlare di una ipersfera?» chiese con un sorriso nel tono.
Tikko scosse la testa.
«Immagina una palla... ma gigantesca. Se l’universo fosse così, potresti partire da un punto, andare sempre dritto e—puff!—tornare da dove sei partito.»
«Ma allora... potrei incontrare me stesso?» esclamò Tikko.
«Forse sì,» rispose Serafino, «ma potresti vederti sfocato, capovolto, e sempre lontano, come un riflesso in un sogno.»
Tikko non ci pensò due volte. Costruì il suo veicolo spaziale con pezzi di meteoriti magnetici e stoffa di nebulosa, e lo chiamò Curvius 1.
Nello zaino mise biscotti al polline, la sua bussola a nebulosa e il diario delle domande.
Durante il viaggio, attraversò foreste di asteroidi danzanti, salì sulle onde di luce di una supernova gentile, e si fermò a bere succo di plasma su una stazione galattica abitata da lumache luminose.
Dopo tantissimo tempo, vide qualcosa che lo lasciò a bocca aperta:
sé stesso.
Un altro Tikko, sospeso nel vuoto, che lo guardava. Ogni movimento era imitato, ogni gesto ripetuto, ma al contrario.
«Serafino aveva ragione,» sussurrò. «La luce è tornata indietro... lungo la curva dell’universo.»
Ma per quanto cercasse di raggiungerlo, l’altro Tikko si allontanava nello stesso modo. Sempre alla stessa distanza. Un’immagine. Un fantasma di luce.
Tornato su Zebula, Tikko scrisse la risposta nel suo diario:
“Se l’universo è una palla, allora il viaggio più strano è quello che ti riporta a te stesso.”
E ogni sera, guardando il cielo, si domandava:
“Chissà se l’altro Tikko sta scrivendo la stessa cosa su un altro diario, sotto lo stesso cielo, ma dalla parte opposta del tutto.”
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